Primo Piano
Giornata Clinica
27 aprile
Interviste - Martedi 26 - 10:30-11:30
La risonanza: il suono, il senso, il tono e il rumore.
Interviste - Giovedi 28 - 12h-13h
Metafisiche cannibali
La festa
29 aprile 2016
Collage Surrealista
Rio de Janeiro
Cosa vedere in città?
L'inconscio e il corpo parlante
Presentazione del tema del X Congresso dell'AMP
Jacques-Alain Miller
Video della conferenza con sootitoli in spagnolo
Invece della ciliegina sulla torta preferirei pensare la bevanda che sto per propinarvi come un digestivo dopo il cibo che il Congresso vi ha servito, per aprire l'appetito pensando a quello che avrete fra due anni. Ci si aspetta, dunque, che io comunichi e introduca il tema del prossimo Congresso [1].Mi dicevo che sono ormai trent'anni che la cosa dura, se si pensa che i congressi dell'AMP dànno seguito a quelli che si chiamavano gli Incontri internazionali del Campo freudiano, iniziati nel 1980. Eccoci dunque ancora una volta ai piedi dello stesso muro. Muro,il termine mi è venuto alle labbra, non senza evocare il neologismo che irride l'amore. È forse all'amur che devo l'onore invariabile che mi è offerto per dare il la della sinfonia - quella sinfonia che i membri dell'AMP - che noi siamo - dovranno comporre lungo i due anni che passeranno prima di trovarci di nuovo? È forse un fatto di transfert, transfert residuo verso colui che un tempo ha avuto l'incarico di fondare la nostra associazione? Ma, come ricordavo, dare un titolo, un nome, almeno un tema, è il compito che avevo già da prima, fin dal primo Incontro internazionale, che si tenne a Caracas in presenza di Lacan. Se amur c'è, mi piacerebbe attribuirlo non già alla funzione di fondatore, cosa che nulla sancisce nei nostri statuti, ma a quella di esploratore, funzione che mi ero attribuito dando come titolo al mio corso "L'orientamento lacaniano".
Amur vuol dire soprattutto che ogni volta bisogna bucare il muro del linguaggio per cercare di cogliere il più vicino possibile – non dico il reale – ma che cosa facciamo nella nostra pratica analitica. Comunque, orientarmi nel pensiero di Lacan è stata la mia preoccupazione e sono consapevole che noi tutti la condividiamo. Difatti, l'Associazione Mondiale di Psicoanalisi ha solo questo punto di coesione. Almeno è la preoccupazione che è al principio del gran numero che
formiamo, al di là degli statuti, del mutuo sostegno, persino dei legami di amicizia e di simpatia che si intrecciano tra di noi nel corso degli anni.
Per il suo pensiero Lacan rivendicava la dignità. È, diceva, perché si industriava a uscire dai sentieri battuti. In effetti, il suo pensiero sconvolge. Si tratta, per noi, di seguirlo per vie inedite, spesso oscure vie che sono diventate ancora più oscure quando Lacan si è inoltrato nel suo ultimo insegnamento. Avremmo potuto lasciarlo solo, abbandonarlo. Invece ci siamo messi al suo seguito, e i due ultimi congressi ne dànno testimonianza.
Perché mai ci siamo impegnati a seguirlo nella difficile ultima parte del suo insegnamento? C'entra, sicuramente, il gusto del deciframento. Personalmente, io ho questo gusto, e noi lo abbiamo nella misura in cui siamo analisti. E lo siamo abbastanza per accorgerci, grazie a certi lampi che bucano le scure nubi del discorso di Lacan, che egli riesce a far emergere un rilievo che ci istruisce su ciò che diventa la psicoanalisi, e che non è più conforme a quanto si pensava che essa fosse. Al punto estremo, ma noi non rimarremo lì, egli aveva anche lasciato intendere che la pratica analitica gli sembrava che fosse una pratica delirante.
La psicoanalisi cambia. Non è un desiderio, è un dato di fatto. Essa cambia nei nostri studi di analisti, e questo cambiamento è per noi così evidente che il Congresso del 2012 sull'Ordine simbolico, come quello di quest'anno sul Reale, contengono nel titolo, entrambi, la stessa menzione cronologica: "al XXI° secolo". Come dir meglio della sensazione del nuovo che abbiamo e, con esso, la percezione dell'urgenza della necessità di un aggiornamento?
Non abbiamo forse l'idea di una frattura nel momento in cui Freud aveva inventato la psicoanalisi, se possiamo dire così, sotto l'egida della regina Vittoria, perfetto esemplare della repressione della sessualità, quando invece il XXI° secolo conosce la diffusione massiccia di quello che si chiama porno, vale a dire il coito esibito, diventato spettacolo, show, accessibile a tutti su internet con un semplice click del mouse? Da Vittoria al porno, siamo passati non solo dall'interdizione alla permissione, ma all'incitazione, all'intrusione, alla provocazione, alla forzatura. Che cos'è il porno se non un fantasma filmato con una varietà atta a soddisfare gli appetiti perversi nella loro diversità? Non c'è niente che mostri meglio l'assenza del rapporto sessuale nel reale di questa profusione immaginaria di corpi che si dedicano a darsi e a prendersi.
È qualcosa di nuovo nella sessualità, nel suo regime sociale, nei suoi modi di apprendimento, rispetto ai giovani, alle giovani classi che entrano nella carriera. Ecco i masturbatori alleggeriti dal dover produrre essi stessi dei sogni da svegli, dato che li trovano pronti all'uso, già sognati per loro. Il sesso debole è il maschile, per quanto riguarda il porno, e vi cede infatti più facilmente. Quante volte si sente in analisi uomini che si lamentano delle compulsioni a seguire i trastulli pornografici, a stoccarli perfino in memorie elettroniche! Dall'altro lato, dal lato delle mogli e delle amanti, si pratica meno ma si bada alla pratica del partner. E allora, dipende: o la si considera un tradimento oppure un passatempo senza conseguenze. La clinica della pornografia è del XXI° secolo – sto solo evocandola, sebbene varrebbe la pena di entrare nei dettagli dato che è insistente e da una quindicina di anni è estremamente presente nelle analisi.
Come non evocare, a proposito di questa pratica così contemporanea, il dilagare degli effetti del cristianesimo nell'arte, come aveva osservato Lacan, effetti che furono portati all'acme dal barocco? Di ritorno da un giro per chiese in Italia, che egli chiamava in modo carino un'orgia, Lacan notava nel suo Seminario Ancora: "ogni cosa è esibizione di corpi evocanti il godimento"[2] – ecco a che punto siamo con il porno. Tuttavia l'esibizione religiosa dei corpi in deliquio lascia sempre fuori dal suo campo la copulazione stessa, nello stesso modo in cui la copulazione è fuori campo, come dice Lacan, nella realtà umana.
Strano ritorno dell'espressione "realtà umana". È l'espressione che aveva usato il primo traduttore di Heidegger in francese per esprimere il Dasein. Ma è da molto tempo che abbiamo tagliato la strada del lasciar essere al Dasein. Nell'era
della tecnica, la copulazione non rimane più confinata nel privato a nutrire i fantasmi particolari di ciascuno, poiché è reintegrata nel campo della rappresentazione, essa stessa ormai passata a livello di massa.
Va sottolineata ancora una seconda differenza tra il porno e il barocco. Lacan definisce il barocco come un tentativo di regolazione dell'anima tramite la visione dei corpi, la scopìa corporale. Niente di tutto ciò nel porno: non c'è nessuna regolazione, ma piuttosto una perpetua infrazione. La scopìa corporale funziona nel porno come una provocazione a un godimento destinato ad appagarsi sul modo del plusgodere, modo trasgressivo rispetto a una regolazione omeostatica e precaria nella sua realizzazione silenziosa e solitaria. Solitamente la cerimonia da una parte e dall'altra dello schermo si compie senza parole, ma con sospiri o gridi mimati di piacere. L'adorazione del fallo, un tempo segreto dei misteri, rimane un episodio centrale – tranne nel porno lesbico –, comunque ormai banalizzato.
La diffusione planetaria della pornografia tramite la rete elettronica ha senza dubbio effetti di cui lo psicoanalista riceve testimonianza. Che cosa dice, che cosa rappresenta l'onnipresenza del porno all'inizio di questo secolo? Nient'altro se non che il rapporto sessuale non esiste. Ecco quello che viene rinviato, in qualche modo cantato, da questo spettacolo incessante e sempre a disposizione. Perché solo quest'assenza è suscettibile di rendere conto dell'infatuazione di cui dobbiamo già seguire le conseguenze nelle abitudini delle giovani generazioni per quanto riguarda lo stile delle relazioni sessuali: disincanto, brutalizzazione, banalizzazione. La furia copulatoria giunge nella pornografia a uno zero di senso che fa pensare ai lettori dellaFenomenologia dello spirito quello che Hegel dice della morte inflitta per libertà universale davanti al terrore, vale a dire che è "la più fredda e la più piatta, che non ha più significato di quanto non ne abbia il tagliare una testa di cavolo, o di deglutire un sorso d'acqua"[3]. La copulazione pornografica ha la stessa vacuità semantica.
Il rapporto sessuale non esiste! Bisogna forse intendere questa sentenza con l'accento di Plutarco quando egli riporta, l'unico a farlo nell'antichità, la parola fatale che risuona sul mare: Il grande Pan è morto! L'episodio si trova nel dialogo intitolato "Sulla scomparsa degli oracoli" che tempo fa ho evocato nel mio corso[4]. E la parola risuonò come l'ultimo oracolo che annunciava che, dopo di lui, non ci sarebbero stati più oracoli – insomma, come l'oracolo che annuncia la scomparsa degli oracoli. Difatti, a quell'epoca, sotto Tiberio, in tutto il territorio dell'impero romano i santuari dove un tempo la folla si accalcava per sollecitare e accogliere gli oracoli, conobbero una crescente disaffezione. Una mutazione invisibile che proveniva dalle profondità del gusto chiudeva la bocca agli oracoli ispirati dai demoni della mantica – dico demoni non perché fossero cattivi, ma perché venivano chiamati demoni gli esseri intermediari tra gli dei e gli uomini, e probabilmente le figura di Pan li rappresentava.
Noi non possiamo non essere sensibili alla sorte degli oracoli e al fatto che un giorno si cancellarono in zone in cui erano stati ricercati con avidità, nella misura in cui la nostra pratica dell'interpretazione, come diciamo di solito, è oracolare. Ma il nostro oracolo è, per l'appunto, il detto di Lacan circa il rapporto sessuale. E ci permette – Lacan lo aveva detto prima che arrivasse la pornografia elettronica di cui parlavo – di mettere al suo posto il fatto della pornografia. La pornografia non è in alcun modo – chi potrebbe pensarlo? – la soluzione alle impasse della sessualità. Invece è un sintomo dell'impero della tecnica che stende ormai il suo regno sulle civiltà più diverse del pianeta, anche le più restie. Non si tratta di deporre le armi davanti a un tale sintomo o ad altri della stessa provenienza. Da parte della psicoanalisi essi esigono un'interpretazione.
Forse questo excursus sulla pornografia potrebbe dare il titolo per il prossimo Congresso? In occasione di uno dei Congressi, e Gorostizia lo ha ricordato, ho svelato la disciplina a cui avevo deciso di attenermi nella scelta dei temi per l'AMP. Arrivano tre alla volta, dicevo, e ognuno, a turno, dà la prevalenza a una delle tre categorie di Lacan le cui iniziali sono R.S.I. Dopo "L'ordine simbolico...", dopo "Un reale... ", ci si attenderebbe, come avevano intuito L. Gorostiza e altri, che l'immaginario venisse in primo piano. Sotto quale migliore veste farlo se non tramite il corpo, dato che in Lacan troviamo formulata l'equivalenza: l'immaginario è il corpo? Equivalenza che non è isolata, come testimonia l'insieme del
suo insegnamento.
In primo luogo, il corpo entra in gioco innanzitutto come immagine, immagine allo specchio, conferendo all'io uno statuto che si distingue notevolmente da quello che Freud gli riconosceva nella sua seconda topica. In secondo luogo, è ancora con un gioco d'immagini che Lacan illustra l'articolazione tra l'ideale dell'io e l'io ideale, per riprendere i termini di Freud, ma formalizzandoli in modo inedito. L'affinità tra il corpo e l'immaginario è affermata nuovamente nel suo insegnamento sui nodi. La costruzione borromea mette in rilievo che è tramite la propria immagine che il corpo partecipa anzitutto all'economia del godimento. Quarto punto: al di là il corpo condiziona tutto ciò che il registro immaginario alberga in quanto rappresentazioni: significato, senso e significazione, e l'immagine stessa del mondo. È nel corpo immaginario che le parole della lingua fanno entrare le rappresentazioni, che costituiscono per noi un mondo illusorio sul modello dell'unità del corpo. Ecco i motivi per scegliere, per il prossimo Congresso, di far variare il tema del corpo nella dimensione dell'immaginario.
Avevo quasi aderito a quest'idea quando mi è apparso chiaro che il corpo cambia registro nella misura in cui è un corpo parlante. Che cos'è il corpo parlante? Ah, è un mistero, disse un giorno Lacan[5]. Affermazione che è tanto più da prendere in considerazione nella misura in cui misteronon è matema, anzi è l'opposto. Per Cartesio ciò che fa mistero, ma resta fuori dubbio, è l'unione dell'anima e del corpo. Egli ha dedicato a essa la "Sesta meditazione" che, da sola, ha stimolato l'ingegnosità del suo più eminente commentatore più delle cinque precedenti. Tale unione, in quanto concerne il mio corpo, meum corpus, vale come terza sostanza tra sostanza pensata e sostanza estesa. Sul corpo dice Cartesio – la citazione è nota –: "non solo io sto all'interno del mio corpo come un nocchiero entro la sua nave, ma sono così strettamente congiunto e quasi confuso con esso da costituire un tutto con tale corpo"[6]. È risaputo che il dubbio cosiddetto iperbolico che raffigura l'ipotesi di un genio maligno risparmia il cogito e vi consegna la certezza, come un resto - resto che resiste anche al dubbio più ampio che si possa concepire. È meno conosciuto che, après-coup, proprio nella Sesta meditazione, si scopre che il dubbio risparmia anche l'unione dell'io penso con il corpo [7], quello che si distingue, tra tutti, di essere il corpo di questo io penso.
Senza dubbio, per rendercene conto, occorre prolungare l'arco di questo après-coup fino a Edmund Husserl e alle sue Meditazione cartesiane. Con un termine prezioso egli vi distingue, da una parte, i corpi fisici tra cui quelli dei miei simili e, dall'altra, il mio corpo. E introduce, per il mio corpo, un termine speciale. Scrive: trovo in una caratterizzazione singolare la mia carne, meinen Leibe, vale a dire quello che non è solo un semplice corpo, bensì una carne, il solo oggetto all'interno del mio strato astratto dall'esperienza a cui assegno un campo di sensazione alla misura dell'esperienza[8]. Il termine prezioso è quello di carne che viene differenziato dai corpi fisici. Con carne egli intende ciò che a Cartesio appariva sotto le specie dell'unione tra l'anima e il corpo.
Questa carne è probabilmente cancellata nel Dasein heideggeriano, ma ha nutrito la riflessione di Merleau-Ponty nella sua opera incompiuta Il visibile e l'invisibile[9], libro a cui Lacan dedicò una certa attenzione nel corso del Seminario I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi[10]. Lì, egli non rimarca il suo interesse per questo vocabolo, e tuttavia egli riprenderà il termine carne quando evoca la carne che porta l'impronta del segno. Il segno ritaglia la carne, la devitalizza e la rende cadavere, e allora il corpo se ne separa. Nella distinzione tra il corpo e la carne, il corpo si mostra atto a raffigurare, in quanto superficie di iscrizione, il luogo dell'Altro del significante. Per noi, il mistero cartesiano dell'unione psicosomatica si sposta. Quello che fa mistero, ma che resta fuori dubbio, è quello che risulta dall'influenza del simbolico sul corpo. Per dirla in termini cartesiani, il mistero è piuttosto quello dell'unione della parola e del corpo. Da questo fatto di esperienza, possiamo dire che è del registro del reale.
A questo punto bisogna fare spazio al nuovo nome che l'ultimo insegnamento di Lacan propone per l'inconscio. C'è un termine per dirlo. Non possiamo prendere in considerazione questo termine per il Congresso perché si tratta di un neologismo. Non si traduce. Se tornate al testo intitolato "Televisione" vedrete che interpello Lacan sul termine inconscio.
Gli dico semplicemente: "Inconscio - che strana parola!"[11], perché già mi sembrava che il termine non si accordasse bene con il punto in cui era nella sua dottrina. Egli mi risponde - lo vedrete, lo avete visto, lo sapete – con un rifiuto: "Freud non ne ha trovate di migliori, e non è il caso di tornarci su". Quindi ammette che il termine non è perfetto e rinuncia a ogni tentativo di cambiarlo. Ma due anni dopo aveva cambiato idea se si tiene conto del suo scritto "Joyce il sintomo"[12] in cui propone il neologismo che dicevo, di cui profetizza che sostituirà il termine freudiano di inconscio: il parlessere.
Ecco l'operazione che propongo per darci la bussola per il prossimo Congresso. Questa metafora, la sostituzione del parlessere lacaniano all'inconscio freudiano, fissa una scintilla. Propongo di prenderla come indice di quello che cambia nella psicoanalisi del XXI° secolo, quando essa deve prendere in conto un altro ordine simbolico e un altro reale, rispetto a quelli su cui si era fondata.
La psicoanalisi cambia - è un dato di fatto. E' cambiata, faceva notare con malizia Lacan, nella misura in cui fu anzitutto praticata da Freud in solitario e in seguito è stata praticata in coppia. Ma ha conosciuto altri cambiamenti che possiamo constatare leggendo Freud, e addirittura quando leggiamo e rileggiamo il primo Lacan. Essa cambia effettivamente, malgrado il nostro attaccamento a termini e schemi antichi. Si tratta di uno sforzo continuo per rimanere il più vicino possibile dell'esperienza, per dirla senza andare a sbattere contro il muro del linguaggio. Per aiutarci a superare questo muro, ci vuole un (a)muro[13], intendo dire un termine agalmatico che buca questo muro. E questo termine io lo trovo nel parlessere.
Non sarà sulla locandina del prossimo Congresso. Sapremo solo tra di noi che si tratterà del parlessere in quanto sostituito all'inconscio, nelle misura in cui analizzare il parlessere non è più esattamente la stessa cosa che analizzare l'inconscio nel senso di Freud, e neppure l'inconscio strutturato come un linguaggio. Direi anzi: scommettiamo che analizzare il parlessere è già quello che facciamo, dobbiamo però saperlo dire.
Impariamo a dirlo. Per esempio, quando parliamo del sintomo come di un sinthomo. Ecco un termine, un concetto che è dell'epoca del parlessere. Esso traduce uno spostamento del concetto di sintomo dall'inconscio al parlessere. Come sapete, il sintomo, in quanto formazione dell'inconscio strutturato come un linguaggio, è una metafora, un effetto di senso, indotto dalla sostituzione di un significante a un altro. Per contro, il sinthomo di un parlessere è un evento di corpo, un emergere di godimento. Del resto il corpo in questione non è detto che sia il vostro. Basta essere una donna, e potete essere il sintomo di un altro corpo. C'è isteria quando c'è sintomo di sintomo, quando fate sintomo con il sintomo di un altro, vale a dire sintomo alla seconda potenza. Rimane ancora da chiarire il sintomo del parlessere nel suo rapporto con i tipi clinici – non faccio altro che evocare, sulla scia di Lacan, di che cosa si tratti nell'isteria.
Non ci arriveremo se dimentichiamo la struttura del sintomo dell'inconscio, come la seconda topica di Freud non annulla la prima, ma si compone con essa. Nello stesso modo, Lacan non è venuto a cancellare Freud, bensì a prolungarlo. I rimaneggiamenti del suo insegnamento si fanno senza strappo, utilizzando le risorse di una topologia concettuale che assicura la continuità senza impedire il rinnovamento. Così, da Freud a Lacan, diremo che il meccanismo della rimozione viene esplicitato dalla metafora, come dall'inconscio al parlessere, e la metafora fornisce l'involucro formale dell'evento di corpo. La rimozione esplicitata dalla metafora è una cifratura e l'operazione di questa cifratura lavora per il godimento che intacca il corpo. La nostra riflessione viene tessuta rattoppando pezzi diversi di varie epoche, ripresi da Freud e da Lacan, e non dobbiamo indietreggiare nel procedere a un tale rammendo per progredire e cogliere la psicoanalisi nel XXI° secolo.
Dopo sinthomo, indicherò un altro vocabolo dell'epoca del parlessere e che metterò accanto al sinthomo. Anche questo termine ci costringe a procedere a una nuova classificazione delle nozioni che ci sono familiari. Il termine che metto vicino a sinthomo è sgabello, che riprendo da "Joyce il Sintomo"[14] - in spagnolo si dice escabel. Lo sgabello non è la scala – è più piccolo di una scala – ma ci sono dei gradini. Che cos'è lo sgabello? – intendo lo sgabello psicoanalitico, non
quello che usiamo per prendere dei libri nella biblioteca. In modo generale è ciò su cui il parlessere si issa, per farsi bello. È il suo piedistallo che gli permette di elevare se stesso alla dignità della Cosa [15]. Questo, per esempio, è un piccolo sgabello per me. [Dice J.-A. Miller, mostrando il piccolo rialzo del pulpito.]
Lo sgabello è un concetto trasversale. Esso traduce in modo immaginoso la sublimazione freudiana, ma all'incrocio con il narcisismo. Ecco un raffronto che è tipicamente dell'epoca del parlessere. Lo sgabello è la sublimazione, ma in quanto si fonda sull'io non penso primario del parlessere. Che cos'è questo io non penso? È la negazione dell'inconscio tramite cui il parlessere si crede padrone del proprio essere. E con il suo sgabello egli vi aggiunge che crede di essere un padrone bello. La cultura non è nient'altro che la riserva degli sgabelli a cui si attinge per mettersi in mostra e fare il vanaglorioso.
Mi dicevo - per dare un esempio delle categorie che sembrano spuntare e di cui abbiamo bisogno -, mi dicevo che potrei cercare un parellello tra il sinthomo e lo sgabello. Che cosa suscita lo sgabello? Ebbene, il parlessere nella sua faccia di godimento della parola. È questo godimento della parola che fa nascere i grandi ideali del Bene, del Vero e del Bello. Il sinthomo, per contro, in quanto sintomo del parlessere, attiene al corpo del parlessere. Il sintomo sorge a partire dal marchio scavato dalla parola quando prende la forma del dire e fa evento nel corpo. Lo sgabello è dalla parte del godimento della parola che include il senso. Il godimento proprio del sinthomo, invece, esclude il senso.
Se Lacan si è appassionato a James Joyce e in modo particolare alla sua opera Finnegans Wakeè a causa del tour de force – o di farsa – che rappresenta il fatto di essere riuscito a farvi convergere il sintomo e lo sgabello. Per essere esatti, Joyce ha fatto del sintomo stesso, in quanto fuori senso, in quanto inintellegibile, lo sgabello per la sua arte. Egli ha creato una letteratura il cui godimento è altrettanto opaco che il godimento del sintomo, rimanendo nondimeno un oggetto artistico, elevato sullo sgabello alla dignità della Cosa. Ci si può chiedere se la musica, la pittura, le Belle Arti abbiano avuto il loro Joyce. Nel registro della musica, quello che corrisponde a Joyce, è forse la musica atonale inaugurata da Schoenberg - ne abbiamo sentito parlare poco fa[16]. Per quanto riguarda le Belle Arti, l'iniziatore è stato forse Marcel Duchamp. Joyce, Schoenberg, Duchamp sono dei fabbricanti di sgabelli destinati a fare dell'arte con il sintomo, con il godimento opaco del sintomo. E avremmo qualche difficoltà se dovessimo dire la nostra per quanto riguarda lo sgabello-sintomo a livello della clinica. Dovremmo piuttosto prendere spunto da essi.
Ma, ditemi, fare del proprio sintomo uno sgabello non è forse precisamente ciò di cui si tratta nella passe, dove si mette in gioco il proprio sintomo e il proprio godimento opaco? Fare un'analisi vuol dire lavorare alla castrazione dello sgabello per mettere in luce il godimento opaco del sintomo. Ma fare la passe vuol anche dire fare leva sul sintomo così ripulito per farsene uno sgabello, ricevendo gli applausi del gruppo analitico. E, per dirlo in termini freudiani, è ovviamente un fatto di sublimazione, e gli applausi non sono affatto fortuiti. Il momento della soddisfazione dell'assistenza fa parte della passe. Possiamo addirittura dire che è proprio in quel momento che la passe si avvera. Al tempo di Lacan i racconti di passe non erano mai rivelati in pubblico. L'operazione rimaneva sepolta nelle segrete dell'istituzione, era conosciuta solo da un numero ristretto di iniziati - la passe era una faccenda per nemmeno dieci persone. Diciamolo pure, io ho inventato la mostrazione pubblica delle passe perché sapevo, pensavo, credevo, che fosse in gioco l'essenza stessa della passe. Gli sgabelli stanno lì per fare della bellezza, dato che la bellezza è l'ultima difesa contro il reale. Ma una volta buttati a terra e bruciati gli sgabelli, il parlessere analizzato ha ancora da dimostrare il proprio saperci fare con il reale, il suo saperne fare un oggetto artistico, il suo saper dire, il suo saperlo bendire. È questo che dà il via, è questo ciò a cui è chiamato quando è invitato a prendere la parola. L'evento di passe non è la nominazione, decisione di un collettivo di esperti. L'evento di passe è il dire di uno solo, l'Analista della Scuola (AE), quando mette in ordine la propria esperienza, quando la interpreta a favore di chiunque sia presente a un Congresso, pubblico che si tratta di sedurre e di infiammare – ed è quanto è stato ampiamente messo alla prova in quest'ultimo Congresso.
Un dire è un modo della parola che si distingue dal fatto di fare evento. Freud differenziava i modi della coscienza: coscio, preconscio, inconscio. Per noi, se ci sono dei modi da diversificare, non sono quelli della coscienza, bensì i modi della
parola. In termini di retorica, c'è la metafora e la metonimia; in termini di logica, il modale e l'apofantico, l'affermativo, perfino l'imperativo; e, nella prospettiva stilistica, c'è il luogo comune, il proverbio, il ritornello, e dalla parola deriva la scrittura... Ebbene, l'inconscio, quando è concettualizzato a partire dalla parola e non più a partire dalla coscienza, ha un nuovo nome: il parlessere. L'essere di cui si tratta non precede la parola. Al contrario, è la parola a conferire l'essere a questo animale per un effetto di après-coup, e, di conseguenza, il corpo si separa da questo essere per passare al registro dell'avere. Il parlessere non è un corpo, ma ha un corpo[17]. Il parlessere ha a che fare con il corpo in quanto immaginario nello stesso modo in cui ha a che fare con il simbolico. E il terzo termine, il reale, è il complesso o l'implesso degli altri due. Il corpo parlante ha due godimenti, il godimento della parola e il godimento del corpo: uno lo porta allo sgabello, l'altro sostiene il sinthomo. Nel parlessere, c'è contemporaneamente godimento del corpo e godimento che si relega fuori corpo, godimento della parola che Lacan identifica, con audacia e logica, con il godimento fallico in quanto esso è disarmonico al corpo. Il corpo parlante gode dunque su due registri: da una parte gode di se stesso, è intaccato dal godimento, si gode – uso riflessivo del verbo –, d'altro canto, un organo di questo corpo si distingue perché gode per se stesso, condensa e isola un godimento a parte che si distribuisce sugli oggetti a. Ecco perché il corpo parlante è diviso rispetto al proprio godimento. Non è affatto unitario come lascia credere l'immaginario. Ecco il motivo per cui occorre che il godimento fallico si separi nell'immaginario tramite quell'operazione che chiamiamo castrazione. Il corpo parlante parla in termini di pulsioni. Cosa che consentiva a Lacan di presentare la pulsione sul modello di una catena significante. Egli ha proseguito sulla via di questo sdoppiamento nella sua logica del fantasma in cui disgiunge l'Es e l'inconscio. In compenso, il concetto di corpo parlante si trova alla giuntura tra l'Es e l'inconscio. Egli ricorda che le catene significanti che noi decifriamo secondo la modalità freudiana sono inserite sul corpo e che sono fatte di sostanza godente. Freud diceva che l'Es era il grande serbatoio della libido - detto che si sposta sul corpo parlante che è in quanto tale sostanza godente. È su questo corpo che sono prelevati gli oggetti a: è nel corpo che viene attinto il godimento per il quale lavora l'inconscio.
Freud diceva che la teoria delle pulsioni era una mitologia. Il godimento, invece, non è affatto un mito. Nel capitolo 7 della Traumdeutung Freud definisce l'apparato psichico una finzione. Ma il corpo parlante non è una finzione. È nel corpo che Freud trovava il principio della sua finzione dell'apparato psichico. Esso è costruito sull'arco riflesso in quanto processo regolato in modo tale da mantenere la quantità di eccitazione al livello più basso possibile. All'apparato psichico strutturato sull'arco riflesso Lacan ha sostituito l'inconscio strutturato come un linguaggio. Non già stimolo-risposta, ma significante-significato. Solo che – è un'espressione di Lacan che ho già sottolineato e spiegato – questo linguaggio "è un'elucubrazione di sapere su lalingua"[18], lalingua del corpo parlante. Ne consegue che l'inconscio stesso è un'elucubrazione di sapere sul corpo parlante, sul parlessere. Che cos'è un'elucubrazione di sapere? È un'articolazione di sembianti – articolazione che si distacca da un reale e, contemporaneamente, lo rinserra. La mutazione maggiore avvenuta nell'ordine simbolico nel XXI° secolo consiste nel fatto che quest'ordine è ormai diffusamente concepito come un'articolazione di sembianti. Le categorie tradizionali che organizzano l'esistenza passano al rango di semplici costruzioni sociali, destinate alla decostruzione. I sembianti, non solo vacillano, ma sono riconosciuti come sembianti. E, per via di uno strano incrocio, è proprio la psicoanalisi a restituire, grazie a Lacan, l'altro termine della polarità concettuale: non tutto è sembiante, c'è il reale. Il reale del legame sociale è l'inesistenza del rapporto sessuale. Il reale dell'inconscio è il corpo parlante. Finché l'ordine simbolico era concepito come un sapere che regola il reale e gli impone la sua legge, la clinica era dominata dall'opposizione tra nevrosi e psicosi. Ormai è ammesso che l'ordine simbolico sia un sistema di sembianti che non domina il reale ma gli è subordinato. Un sistema che risponde al reale del rapporto sessuale che non c'è. Ne consegue, se posso dire così, una dichiarazione di uguaglianza clinica fondamentale tra i parlesseri. I parlesseri sono condannati alla debilità mentale dal mentale stesso, appunto dall'immaginario in quanto immaginario di corpo e immaginario di senso. Il simbolico imprime nel corpo immaginario delle rappresentazioni semantiche che il corpo parlante tesse e slega. Per questo, la sua debilità destina il corpo parlante in quanto tale al delirio. Ci si domanda in che modo qualcuno che è stato analizzato possa ancora immaginarsi normale. Nell'economia del godimento un significante-padrone ne vale un altro. Dalla debilità al delirio la conseguenza è buona. L'unica via ad aprirsi al di là per il parlessere è di lasciarsi abbindolare da un reale , vale a dire di montare un discorso in cui i sembianti stringono un reale,
un reale a cui credere senza aderirvi, un reale che non ha senso, indifferente al senso, e che non può essere diverso da quello che è. Al contrario, la debilità è l'abbindolamento del possibile. Essere abbindolato da un reale – cosa che io vanto – è l'unica lucidità aperta al corpo parlante per orientarsi. Debilità – delirio – abbindolamento, ecco la trilogia di ferro che si ripercuote nel nodo dell'immaginario, del simbolico e del reale.
Un tempo si parlava di indicazioni per l'analisi. Si valutava se tale struttura si prestasse all'analisi e si segnalava in che modo rifiutare l'analisi a chi la domandasse, in mancanza di queste indicazioni. Diciamo la verità, nell'epoca del parlessere si analizza chiunque. Analizzare il parlessere richiede di giocare la partita tra delirio, debilità e abbindolamento. Vuol dire dirigere un delirio in modo tale che la sua debilità ceda all'abbindolamento del reale. Freud aveva ancora a che fare con quella che chiamava la rimozione. E abbiamo potuto constatare fino a che punto questa categoria è ormai poco usata nei racconti di passe. Certo ci sono dei ricordi che tornano in mente. Nulla, però, ne attesta l'autenticità. Nessuno di essi è finale. Il cosiddetto ritorno del rimosso è sempre trascinato nel flusso del parlessere dove la verità si rivela incessantemente bugiarda. Al posto della rimozione, l'analisi del parlessere installa la verità bugiarda che deriva da ciò che Freud ha individuato come la rimozione originaria. E questo significa che la verità è intrinsecamente della stessa essenza della menzogna. Lo proton pseudos è anche il falso ultimo. Quello che non mente è il godimento, il o i godimenti del corpo parlante.
L'interpretazione non è un frammento di costruzione che porta su un elemento isolato della rimozione, come pensava Freud. Non è un'elucubrazione di un sapere. Non è neppure un effetto di verità subito assorbito nella successione delle menzogne. L'interpretazione è un dire che mira al corpo parlante, per riprodurvi un evento, per prendere alle budella, diceva Lacan. Cosa che non si anticipa ma si verifica nell'après-coup, perché l'effetto di godimento è incalcolabile. Tutto quello che l'analisi può fare è di accordarsi con la pulsazione del corpo parlante, per insinuarsi nel sintomo. Quando si analizza l'inconscio, il senso dell'interpretazione è la verità. Quando si analizza il parlessere, il corpo parlante, il senso dell'interpretazione è il godimento. Lo spostamento dalla verità al godimento dà la misura di quello che diventa la pratica analitica nell'era del parlessere.
Per questo propongo per il prossimo Congresso di ritrovarci all'insegna de "L'inconscio e il corpo parlante". Si tratta di un mistero, diceva Lacan. Cercheremo di entrarvi e di chiarirlo. Quale città più idonea di Rio de Janeiro - con quell'emblema, il più stupendo degli sgabelli, dal nome Pan di zucchero? Grazie.
Testo stabilito da Anne-Charlotte Gauthier, Eve Miller e Guy Briole. Testo pronunciato e non rivisto dall'autore. Version 30.09.2014?Traduzione: Michelle Daubresse, Antonio Di Ciaccia?Versione in lingua originale: L'inconscient et le corps parlant (Francese)
Miller- L'inconscio e il corpo parlante.pdf
NOTE
?1-Conferenza pronunciata da Jacques-Alain Miller in chiusura del IX° congresso dell'Associazione Mondiale di Psicoanalisi (AMP), il 17 aprile 2014 a Parigi, a mo' di presentazione del tema del suo X° congresso.?
2-J. Lacan, Il seminario, Libro XX, Ancora (1972-1973), Einaudi, Torino, 2011, p. 108.?
3-G.W.F. Hegel, La fenomenologia dello spirito, Einaudi, Torino, 2008, p. 392.
?4-Cf. J.-A. Miller, "L'orientation lacanienne. Un effort de poésie", lezione del 13 novembre 2002, inedito.?
5-Cf. J. Lacan, Il seminario Ancora, cit., p. 125.
?6-R. Cartesio, "Sesta meditazione", Meditazioni metafisiche, Fridericiana Edizioni Universitarie, Napoli, 2010, p. 220.
?7-Cf. Ibid., p. 234.
?8-Cf. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, Bompiani, Milano, 2002.?
9-M. Merleau-Ponty, "L'intreccio – Il chiasma", Il Visibile e l'invisibile, Bompiani, Milano, 2007, p. 147-170.?10 - J. Lacan, Il seminario. Libro xi. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964), Einaudi, Torino, 2003, p. 71.
?11-J. Lacan, "Televisione", in Altri scritti, Einaudi, Torino, 2013, p. 507.
?12-Cf. J. Lacan, "Joyce il Sintomo", in Altri scritti, cit., p. 558. Si veda, su questo punto, anche il Seminario. Libro XXIII. Il Sinthomo (1975-1976), Astrolabio, Roma, 2006, p. 53: « soggetto che trova supporto nel parlessere, che è quello che io designo come l'inconscio».
13-J. Lacan, Il mio insegnamento e Io parlo ai muri, Astrolabio, Roma, 2014, p. 155.?
14-Cf. J. Lacan, "Joyce il Sintomo",cit., p. 557-562.
?15-Lacan J., Il Seminario. Libro VII. L'etica della psicoanalisi (1959-1960), Torino: Einaudi 1994, p. 141.
16-Cfr. D. Masson, "Impromptu. Les chemins du réel en musique", intervento al IX Congresso dell'AMP, Parigi,?17 aprile 2014, inedito – disponibile sul sito radiolacan.com e in video sul sito congresamp2014.com. 17-Cf. J. Lacan, "Joyce il Sintomo", cit., p. 557, e Il seminario Il Sinthomo, cit., p. 150.?18-J. Lacan, Il seminario Ancora, cit., p. 133
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