Testi di orientamento

Parlessere e consistenza corporea

Ram Avraham Mandil




Nel Seminario XXIII, Il Sinthomo[1], a pagina 62 dell’edizione italiana, c’è un passo in cui Lacan fa riferimento al corpo del parlessere come un corpo che tende, a ogni instante, a “squagliarsela” [“car son corps fout le camp à tout instant”].

È possibile riconoscere una dimensione del corpo che “non evapora”, però il corpo parlante è un corpo marcato dall’inconsistenza. Sappiamo che, dal punto di vista clinico, questa inconsistenza può prendere la forma del corpo “lasciato cadere”, come ci mostrano le descrizioni di Schreber, alcuni passi dell’Uomo dei Lupi e alcuni brani dell’opera di James Joyce.

Se il parlessere è qualcuno che ha bisogno di dare consistenza – “consistenza mentale”, dice Lacan – al proprio corpo, di che ordine è questa consistenza?

Nella presentazione del X Congresso dell’AMP, Jacques-Alain Miller delinea i contorni della questione che si possono trovare fin dalle meditazioni cartesiane sul “corpo dell’io penso” e nelle considerazione filosofiche e teologiche sulle “forme di unione dell’anima e del corpo”. Occorre aggiungere che la psicologia è presentata da Lacan come nient’altro che “l’immagine confusa che abbiamo del nostro corpo”[2].

Nello stesso passo del Seminario XXIII, Lacan sottolinea che questa ricerca della consistenza corporea si è istituita a partire dalla credenza, essenzialmente la credenza del parlessere di avere un corpo. È a partire da questa credenza, continua Lacan, che ha rilevanza “l’adorazione” del corpo – adorazione che sarebbe “il solo rapporto che abbia il parlessere con il proprio corpo”[3]. In questo punto si localizzerebbe la radice dell’immaginario e, di conseguenza, il fondamento della “consistenza mentale” del corpo del parlessere.

Se il corpo del parlessere è un corpo che tende a squagliarsela, a svanire, a mostrarsi inconsistente, ciò accade perché deve costituirsi a partire dal trauma. In altre parole, l’incidenza del significante sul corpo instaura per il parlessere la questione della propria consistenza corporea. Seguendo le argomentazioni di Miller nella presentazione del X Congresso dell’AMP, L’inconscio e il corpo parlante, possiamo dedurre che la consistenza corporea non fa questione in quanto carne. Essa diventa “un mistero” solo a partire dal momento in cui “il segno ritaglia la carne”, quando “il corpo si mostra adatto ad apparire, come superficie di inscrizione, nel posto dell’Altro del significante”.

In questo senso, mi pare pertinente aggiungere che l’analisi del parlessere deve puntare non solo a ciò con cui, attraverso la sua parola, egli mira a costituire il suo essere [être], ma anche ai modi in cui, tramite la sua parola, cerca di costituire un corpo e attribuirgli consistenza.

Sappiamo, a partire da Lacan, che un modo di attribuire consistenza al corpo è quello che si sostiene sull’immagine. Si tratta del corpo come unificazione di esperienze frammentate, eterogenee, la cui consistenza sarebbe assicurata dalla sua forma.

Tuttavia, tenendo conto dell’analisi dell’episodio delle bastonate ricevute da Stephen Dedalus nel Ritratto dell’artista da giovane, possiamo dedurre che qui Lacan fa riferimento a un altro modo di dare consistenza mentale al corpo: con il supporto della fantasia. È proprio questo a richiamare l’attenzione di Lacan, perché quest’alternativa non è in funzione in questo episodio. Qui non c’è stata un’attivazione della fantasia sul versante masochistico che avrebbe potuto essere un modo di dare consistenza al corpo.

Un’altra questione che mi sembra pertinente per la nostra discussione è quella di considerare il sinthomo come modo di dare consistenza al corpo a partire dai marchi e dalle inscrizioni del trauma. Si tratta di considerare il corpo al di là del suo supporto immaginario, o di puntare a dargli consistenza a partire dalla fantasia.

Che cosa vorrebbe dire considerare la consistenza del corpo per la via del sinthomo? Questa consistenza sarebbe diversa da una consistenza mentale? Propendo a pensare che questa consistenza non faccia sparire l’aspetto “mentale” in gioco, se consideriamo il mentale come un involucro, come ciò che cerca di tracciare un bordo rispetto al reale. Possiamo considerare che la consistenza del corpo, misurata per la via del sinthomo, non punta a eliminarne l’inconsistenza – inconsistenza che in generale, nella maggior parte dei casi, si manifesta come ciò che, nel corpo, è senza legge – ma a includerla in un nuovo assetto. Questo assetto implica riconsiderare l’immaginario. A mio parere, questo è indicato nel Seminario XXIII, per esempio nelle considerazioni di Lacan sull’insieme vuoto e sui rapporti tra il sacco e la corda.

In questo senso, mi sembra suggestivo un accostamento tra l’adorazione del corpo – “il solo rapporto che abbia il parlessere con il proprio corpo” – e l’osservazione che fa Miller sullo sgabello come piedistallo del parlessere, quello “che gli consente di elevarsi alla dignità della Cosa”.

Poter fare del sinthomo uno sgabello e far derivare di lì una nuova modalità di soddisfacimento, non sarebbe forse uno dei modi di savoir faire con il sinthomo? Mi sembra interessante che il nostro Congresso possa portare alcuni esempi di come questo avviene nell’esperienza analitica del parlessere.

 

Traduzione dal portoghese: Maria do Carmo Dias Batista

Revisione: Maria Bolgiani, Giuliana Zani

 

Mandil- Parlessere e consistenza corporea.pdf


[1] Lacan, J., Il Seminario, libro XXIII. Il sinthomo. Capitolo «Joyce e l’enigma della volpe». Lezione del 13 gennaio1976. Roma: Astrolabio, 2006, p. 62.

[2] Lacan, J., Lacan, J., Il Seminario, libro XXIII. Il sinthomo. Capitolo «La scrittura dell'ego». Lezione dell'11 maggio 1976. Op. cit., p. 145.

[3] Ibidem, p. 66.


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